PRIMA PARTE
La bellezza della livrea del cardellino, unita alla armoniosità del suo canto, hanno suscitato sino dai tempi antichi l’interesse degli appassionati come dei profani. Per moltissimi anni è stato oggetto di cattura indiscriminata al fine essere mantenuto in cattività come uccello ornamentale o da canto. Probabilmente a causa delle difficoltà oggettive che la riproduzione di questo uccello comportava allo stato captivo, a parte sporadici tentativi di allevamento in purezza, si usava impiegare i soli maschi accoppiandoli con femmine di canarino, allo scopo di produrre ibridi dotati di ottime qualità canore.Solo in tempi più recenti l’evoluzione dell’industria mangimistica, unitamente ad una maggiore specializzazione degli allevatori, hanno consentito l’inizio dell’allevamento mirato del cardellino, e più in generale di tutte quelle specie di uccelli dalle esigenze più complesse.In questo modo è stato possibile creare dei ceppi abbastanza ben adattati alla vita in gabbia e si sono potute fissare le prime mutazioni, soprattutto ad opera degli allevatori belgi che potremmo considerare i pionieri di questo delicato processo di “domesticazione”.Allo stato attuale, quindi, il mantenimento e la riproduzione di questo bellissimo fringillide è divenuto abbastanza gestibile, se non proprio agevole.Ovviamente, non avendo potuto “beneficiare” come il canarino, di centinaia di anni di vita in gabbia, questo uccello presenta ancora una scarsa adattabilità nei confronti un regime alimentare carente oppure inadatto, nonché una minore resistenza a svariate patologie, per cui abbisogna di una maggiore attenzione e cura da parte di coloro che decidono di tentarne l’allevamento. Questo tuttavia non deve scoraggiare il neofita, dal momento che, a patto di dedicargli la giusta dose di attenzioni, il cardellino vive e si riproduce per anni offrendo grandi soddisfazioni a coloro che lo allevano.
ASPETTI GENERALI
Uno dei fattori più importanti per chi decide di intraprendere l’allevamento del cardellino è la valutazione dell’ambiente dove verranno alloggiati i soggetti. Pur non soffrendo il freddo in modo particolare, questi uccelli sopportano male le brusche variazioni di temperatura così come un tasso di umidità elevato. In considerazione di ciò, qualora s’intenda allevare all’interno di un locale, sarebbe opportuno valutare i parametri ambientali dello stesso e la sua esposizione. Eventualmente l’impiego di un apparecchio deumidificatore potrebbe risolvere egregiamente il problema dell’umidità (che non dovrebbe superare il 70%), mentre una piccola stufa collegata ad un termostato impedirebbe il determinarsi di brusche variazioni della temperatura all’interno del locale.Ovviamente per chi alleva all’esterno occorrerà solo disporre le gabbie o le voliere in modo che possano beneficiare di qualche ora di sole e che siano ben protette dalle correnti d’aria (utilissimo l’impiego dei fogli di policarbonato per proteggere le gabbie dal vento). In merito alle gabbie, la misura ideale è quella di 120 cm di lunghezza, tuttavia io stesso per ragioni di spazio riproduco senza alcuna difficoltà in gabbie da 90 ed in alcuni casi persino 65 cm.Ovviamente femmine tranquille ed esperte nidificheranno senza problemi in spazi più esigui rispetto a soggetti meno confidenti o alle prime esperienze riproduttive..Assai importante per il benessere di questi uccelli è poter esercitare un minimo di volo, per cui giova non affollare le gabbie e ridurre i posatoi ad un massimo di due, quanto più distanti possibile l’uno dall’altro e possibilmente di diametro differente in modo da mantenere in buono stato anche i muscoli di zampe e dita. Obbligatorio l’uso delle griglie, allo scopo di impedire che i soggetti possano nutrirsi dei residui di cibo caduti sul fondo a contatto con le feci.Data la natura abbastanza competitiva del cardellino, sarà buona norma provvedere alla collocazione di diverse mangiatoie, in modo da evitare che gli individui più rissosi allontanino sistematicamente i più timidi dal cibo. In alcuni casi conviene separare quegli animali che dimostrino un’eccessiva aggressività, poiché a lungo andare finirebbero con l’indurre negli altri occupanti una situazione di stress.Negli animali stressati, si verifica un calo delle difese immunitarie, per cui rischiano di ammalarsi e spesso, in mancanza di un intervento tempestivo, addirittura di morire. Per questo motivo conviene evitare di immettere nuovi occupanti in una gabbia dove convivono già altri cardellini. Ove non possa essere evitato, si usi l’accortezza di lasciare qualche giorno il nuovo arrivato in una gabbietta adiacente, in modo che gli altri si abituino alla sua presenza.
ALIMENTAZIONE
Affermare che l’alimentazione riveste un ruolo fondamentale nell’allevamento di questi uccelli potrebbe apparire superfluo; tuttavia è stato ampiamente documentato come la maggior parte dei problemi di salute che affliggono il cardellino in cattività siano originati proprio da un’alimentazione errata.In commercio esistono molti tipi di miscele di semi, dalle più spartane a quelle considerate “tecnicamente perfette” il cui costo farebbegiusta- mente inorridire la maggior parte degli allevatori. Esistono poi numerose “scuole di pen-siero” in merito a quello che i cardellini dovrebbero o non dovrebbero assolutamente mangiare. Secondo molti autorevoli autori (mi si perdoni il gioco di parole), ad esempio, la scagliola dovrebbe costituire buona parte della miscela, e gli uccelli dovrebbero essere costretti a consumarla volente o nolente, allo scopo di mantenere bassa la quota di lipidi causa di pericolose enteriti e disfunzioni epatiche.Viceversa altri allevatori sostengono la tesi contraria e fanno dei semi come la canapa e il niger, la componente base della loro miscela.Personalmente sono convinto che gli animali in genere posseggano un ottimo istinto, che bisognerebbe cercare di contrastare il meno possibile.In natura, infatti, i cardellini si nutrono di una grande varietà di semi ed effettuano delle “rotazioni alimentari” determinate dalla disponibilità stagionale. In questo modo a seconda del periodo dell’anno si cibano prevalentemente di un dato tipo di seme. In cattività le cose sono ovviamente assai diverse.
Per l’intero arco dell’anno i nostri uccelli vengono nutriti di composti in cui le varie percentuali di semi rimangono invariate. I cardellini, dunque, una volta consumato interamente il seme che meglio soddisfa il suo fabbisogno del momento è costretto a consumare quelli meno graditi. La mia strategia alimentare si fonda proprio sulla negazione di questo principio. Diversi anni fa, quando ero alla ricerca di un tipo di alimentazione ottimale iniziai ad attuare una sorta di sperimentazione. Grazie all’esempio di un gruppo di allevatori di Cassino ( FR ), decisi di mettere a disposizione di alcuni soggetti, in vaschette separate, quei semi che abbondano nelle nostre campagne e di cui i cardellini in natura solitamente si nutrono. Allo scopo acquistai semi di lattuga, girasole piccolo, cicoria ed in più di perilla che, seppure assente nelle nostre campagne, risultava assai appetito. Dopo essermi assicurato che tutti i semi germinassero a dovere iniziai a lasciarli a libera disposizione Il gruppo di prova così alimentato veniva parametrato al resto dei cardellini, che continuai ad alimentare con i migliori miscugli di semi del commercio. Non senza stupore constatai che i soggetti del gruppo selezionato per la prova affrontarono indenni tanto la muta quanto i rigori dell’inverno, effettuarono delle splendide mute e si presentarono in gran forma per la stagione riproduttiva. Il tasso di mortalità, pur non avendo somministrato alcun medicinale, si era attestato su valori quasi insignificanti. Anche durante l’allevamento, le coppie alimentate con il sistema della “libera scelta alimentare”, si dimostrarono all’altezza del loro compito.Le mie osservazioni mi hanno consentito di notare come essi tendano, in base alla temperatura ed al periodo dell’anno, a consumare prevalentemente alcuni alimenti invece di altri, effettuando una sorta di rotazione simile a quella che normalmente attuano in natura. Inoltre l’ampia disponibilità degli alimenti determina una grande riduzione della competizione alimentare tra i soggetti che convivono nella stessa gabbia. In questo modo i cardellini tendono a stressarsi molto meno, a tutto vantaggio della loro salute. Questo sistema, applicato e perfezionato nel corso degli anni, mi ha consentito di ridurre al minimo l’impiego di medicinali e di mantenere gli uccelli in splendida forma.Ovviamente quanto scrivo non vuole assolutamente avere valenza assoluta, dato che ogni allevatore deve fare i conti con il tipo di ambiente in cui si trova ad allevare, allo scopo di individuare quelle strategie che possano rivelarsi vincenti. Del resto è sufficiente un minimo di buonsenso per comprendere che i problemi e la situazione di un allevatore di Palermo, sono assai diversi da quelli con cui deve confrontarsi un allevatore piemontese…In entrambi i casi, tuttavia, mi permetto di suggerire una grande attenzione rivolta alla qualità dei semi, grit ed osso di seppia sempre a disposizione, una bella foglia di cicoria quando è possibile e qualche goccia di un buon complesso vitaminico nell’acqua da bere.
Affermare che l’alimentazione riveste un ruolo fondamentale nell’allevamento di questi uccelli potrebbe apparire superfluo; tuttavia è stato ampiamente documentato come la maggior parte dei problemi di salute che affliggono il cardellino in cattività siano originati proprio da un’alimentazione errata.In commercio esistono molti tipi di miscele di semi, dalle più spartane a quelle considerate “tecnicamente perfette” il cui costo farebbegiusta- mente inorridire la maggior parte degli allevatori. Esistono poi numerose “scuole di pen-siero” in merito a quello che i cardellini dovrebbero o non dovrebbero assolutamente mangiare. Secondo molti autorevoli autori (mi si perdoni il gioco di parole), ad esempio, la scagliola dovrebbe costituire buona parte della miscela, e gli uccelli dovrebbero essere costretti a consumarla volente o nolente, allo scopo di mantenere bassa la quota di lipidi causa di pericolose enteriti e disfunzioni epatiche.Viceversa altri allevatori sostengono la tesi contraria e fanno dei semi come la canapa e il niger, la componente base della loro miscela.Personalmente sono convinto che gli animali in genere posseggano un ottimo istinto, che bisognerebbe cercare di contrastare il meno possibile.In natura, infatti, i cardellini si nutrono di una grande varietà di semi ed effettuano delle “rotazioni alimentari” determinate dalla disponibilità stagionale. In questo modo a seconda del periodo dell’anno si cibano prevalentemente di un dato tipo di seme. In cattività le cose sono ovviamente assai diverse.
Per l’intero arco dell’anno i nostri uccelli vengono nutriti di composti in cui le varie percentuali di semi rimangono invariate. I cardellini, dunque, una volta consumato interamente il seme che meglio soddisfa il suo fabbisogno del momento è costretto a consumare quelli meno graditi. La mia strategia alimentare si fonda proprio sulla negazione di questo principio. Diversi anni fa, quando ero alla ricerca di un tipo di alimentazione ottimale iniziai ad attuare una sorta di sperimentazione. Grazie all’esempio di un gruppo di allevatori di Cassino ( FR ), decisi di mettere a disposizione di alcuni soggetti, in vaschette separate, quei semi che abbondano nelle nostre campagne e di cui i cardellini in natura solitamente si nutrono. Allo scopo acquistai semi di lattuga, girasole piccolo, cicoria ed in più di perilla che, seppure assente nelle nostre campagne, risultava assai appetito. Dopo essermi assicurato che tutti i semi germinassero a dovere iniziai a lasciarli a libera disposizione Il gruppo di prova così alimentato veniva parametrato al resto dei cardellini, che continuai ad alimentare con i migliori miscugli di semi del commercio. Non senza stupore constatai che i soggetti del gruppo selezionato per la prova affrontarono indenni tanto la muta quanto i rigori dell’inverno, effettuarono delle splendide mute e si presentarono in gran forma per la stagione riproduttiva. Il tasso di mortalità, pur non avendo somministrato alcun medicinale, si era attestato su valori quasi insignificanti. Anche durante l’allevamento, le coppie alimentate con il sistema della “libera scelta alimentare”, si dimostrarono all’altezza del loro compito.Le mie osservazioni mi hanno consentito di notare come essi tendano, in base alla temperatura ed al periodo dell’anno, a consumare prevalentemente alcuni alimenti invece di altri, effettuando una sorta di rotazione simile a quella che normalmente attuano in natura. Inoltre l’ampia disponibilità degli alimenti determina una grande riduzione della competizione alimentare tra i soggetti che convivono nella stessa gabbia. In questo modo i cardellini tendono a stressarsi molto meno, a tutto vantaggio della loro salute. Questo sistema, applicato e perfezionato nel corso degli anni, mi ha consentito di ridurre al minimo l’impiego di medicinali e di mantenere gli uccelli in splendida forma.Ovviamente quanto scrivo non vuole assolutamente avere valenza assoluta, dato che ogni allevatore deve fare i conti con il tipo di ambiente in cui si trova ad allevare, allo scopo di individuare quelle strategie che possano rivelarsi vincenti. Del resto è sufficiente un minimo di buonsenso per comprendere che i problemi e la situazione di un allevatore di Palermo, sono assai diversi da quelli con cui deve confrontarsi un allevatore piemontese…In entrambi i casi, tuttavia, mi permetto di suggerire una grande attenzione rivolta alla qualità dei semi, grit ed osso di seppia sempre a disposizione, una bella foglia di cicoria quando è possibile e qualche goccia di un buon complesso vitaminico nell’acqua da bere.
SECONDA PARTE
Riprodurre il cardellino fino a non molti anni fa era un impresa a dir poco ardua. Oggi, grazie alla disponibilità sul mercato di una vasta gamma di prodotti (pastoni per indigeni, insetti bolliti e surgelati, ecc.), ma soprattutto la possibilità di lavorare con soggetti nati in cattività, rendono il tutto molto più agevole.
Infatti, benché sia preferibile avere almeno un minimo di esperienza in campo ornitologico, se ci si attiene a delle semplici regole unite ad un minimo di sensibilità e di buonsenso le soddisfazioni non tarderanno ad arrivare.
Ecco di seguito alcuni consigli per chi intende iniziare ad allevare questo bellissimo carduelide:
La preparazione dei riproduttori riveste un importanza fondamentale. I soggetti vanno abituati gradatamente a nutrirsi di quegli alimenti che ci proponiamo di impiegare durante l’allevamento. Man mano che il fotoperiodo, per effetto delle luci artificiali, o dell’avvicinarsi della primavera, aumenta si dovranno incominciare a somministrare i semi germinati con cadenza settimanale, che verrà aumentata man mano fino a divenire La giornaliera. Allo stesso modo dovrà essere aumentata la quota proteica, mediante somministrazione di alimenti quali il pastone, le larve di insetti, oppure l’uovo. L’aumentata disponibilità alimentare (unitamente all’aumento delle ore di luce e della temperatura) indurrà negli uccelli il raggiungimento della forma amorosa. Tale procedimento riveste un importanza essenziale per entrambi i sessi. Anche i maschi, infatti, necessitano di una accurata preparazione in vista del periodo riproduttivo, senza la quale rischiano di non raggiungere una perfetta forma amorosa.
Le gabbie da cova non dovrebbero essere di misura inferiore ai 90 cm allo scopo di non costringere i riproduttori in uno spazio troppo esiguo che poco si presterebbe alle baruffe del corteggiamento ed all’involo dei novelli. Sarebbe buona norma posizionarle quanto più in alto sia possibile, allo scopo di far sentire le femmine più sicure a tutto vantaggio della nidificazione. Un ottimo espediente consiste nell’infrascare i nidi in modo da garantire una maggiore tranquillità alla cardellina durante la cova e l’allevamento dei nidiacei. Particolarmente indicati sono i rametti degli alberi di Natale finti, le piante ornamentali di plastica oppure della semplice rete verde sempre in plastica del tipo usato per proteggere le piante di agrumi. Sarà sufficiente attaccare il materiale alle sbarre in modo da coprire interamente la zona dove intendiamo porre il portanido, avendo cura di schermare parzialmente anche la zona superiore. Questi materiali sono pressoché indistruttibili, quindi si prestano ad essere riutilizzati, previo accurato lavaggio, per vari anni. Come materiale useremo della iuta, e dell’ovatta vegetale. I fortunati che abitano in campagna possono raccogliere della lanugine di pioppo, che in genere induce nelle femmine una vera e propria frenesia nidificatoria…
La formazione delle coppie è un momento particolarmente delicato. Le strategie sono fondamentalmente due. La prima consiste nel lasciare che la coppia sverni insieme. Questo sistema consente che tra i due si crei un buon affiatamento. Il rovescio della medaglia consiste nel fatto che spesso, la femmina in particolare non accetterà altri maschi che quello che ha imparato a conoscere, per cui se il maschio dovesse morire o decidessimo di sostituirlo con un altro si correrebbe il rischio di scondizionare irrimediabilmente la compagna.L’alternativa è mantenere i sessi separati fino a che non incomincino a dare chiari segni di essere pronti per l’accoppiamento, i maschi con il canto forte e ripetuto, le femmine effettuando la cosiddetta ruota e svolazzando per la gabbia. A questo punto potremo tentare di formare le coppie facendo uso per qualche giorno di un divisorio, in modo da impedire che i due litighino troppo. Accertato il reciproco gradimento, potranno essere uniti. Con questo sistema avremo il vantaggio di poter decidere gli accoppiamenti con più tranquillità ed apportare le eventuali (quanto immancabili) variazioni dell’ultimo minuto senza incontrare grandi difficoltà.
La deposizione e la cova delle uova in genere non presentano grandi difficoltà anche se talvolta, specie le femmine giovani possono dare qualche problema, tipo deposizione fuori dal nido o rifiuto di covare. Nel primo caso conviene abbassare i posatoi il più possibile e tentare di recuperare le uova grazie ad uno strato di gommapiuma o uno straccio disposto sul fondo da cui avremo rimosso le griglie. In questo modo il danno che le uova deposte dal posatoi subiranno sarà ridotto al minimo e potranno essere affidate ad una balia. Se invece la cardellina, che normalmente inizia a covare dal terzo uovo in poi, non dovesse mostrare alcuna intenzione in tal senso, conviene lasciare comunque delle uova di plastica per qualche giorno nel nido e dare a balia quelle vere. Non di rado qualche femmina inizia a covare dopo qualche giorno dalla fine della deposizione a causa di un ritardo nella formazione delle placche di incubazione.Se invece tutto procede per il meglio, la cardellina inizierà a covare assiduamente uscendo dal nido solo per nutrirsi. Per tutta la durata della cova l’alimentazione dovrà essere leggera ed abbastanza spartana. In pratica composta dai soli semi, in modo da non sovraccaricare l’apparato digerente. Le verdure vanno abolite così come i cibi proteici.Il maschio, una volta operata la sostituzione delle uova, andrebbe separato e posto in una gabbietta attigua dove la compagna possa vederlo, in modo che non decida di abbandonare la cova. Trascorsi 5 o 6 giorni potremo allontanarlo per impiegarlo con altre femmine oppure lasciarlo dove si trova per valutare di ricongiungerlo quando i pullus avranno 7-8 giorni.Alcuni maschi si comportano in modo irreprensibile, imbeccando la femmina in cova ed i pulcini fino allo svezzamento. Tuttavia l’ambiente ristretto della gabbia spesso induce nel maschio comportamenti anomali, che variano dalle continue molestie alla femmina fino alla rottura delle uova e persino l’uccisione dei piccoli appena nati. Per questo motivo in genere uso separarli appena terminata la deposizione, per rimetterli quando i piccoli hanno una settimana circa. Se dopo attenta osservazione non riscontro comportamenti aggressivi valuto di lasciarli nella gabbia da riproduzione.La presenza del maschio, quando decide di collaborare, consente una seconda nidificazione in un arco di tempo notevolmente più breve. Infatti con il maschio che provvede allo svezzamento dei novelli, la femmina può dedicarsi senz’altro ad una seconda covata. Attenzione però a separare il padre insieme ai giovani che altrimenti potrebbero imbrattare di feci il nuovo nido e le uova.Nel caso in cui la cura dei giovani sia affidata alla sola femmina bisognerà rimuovere il vecchio nido e non fornire materiale per il nuovo in modo da non stimolarla ad una seconda cova. Dopo circa 25-30 giorni dalla nascita i piccoli inizieranno a mangiare da soli e potremo consentirle di dare l’avvio ad una seconda cova.
I nidiacei di cardellino nascono dopo tredici giorni di incubazione. Durante i primissimi giorni di vita è bene disturbare la madre il meno possibile, salvo una visita giornaliera per valutare lo stato di salute dei piccoli. Se all’ispezione il giorno seguente la nascita si presenteranno floridi e vitali vorrà dire che tutto procede per il meglio. Se al contrario appariranno disidratati e deboli occorrerà valutarne lo spostamento sotto una balia.In concomitanza con la schiusa forniremo alla madre tutti quegli alimenti ad alto valore nutritivo che avevamo smesso di somministrare durante la cova, onde stimolarla a nutrirsi ed imbeccare la prole. Normalmente, dopo giorni di “privazioni” la femmina si mostrerà famelica e non tarderà ad alimentare i piccoli. Personalmente già dal secondo-terzo giorno di vita sono solito fornire piccole quantità di foglie di cicoria (non più di mezza foglia ), che verrà aumentata nei giorni successivi ad una foglia al giorno.In genere le cardelline, se in perfetta salute, si rivelano delle ottime madri allevando senza problemi fino a cinque piccoli per covata.
Riprodurre il cardellino fino a non molti anni fa era un impresa a dir poco ardua. Oggi, grazie alla disponibilità sul mercato di una vasta gamma di prodotti (pastoni per indigeni, insetti bolliti e surgelati, ecc.), ma soprattutto la possibilità di lavorare con soggetti nati in cattività, rendono il tutto molto più agevole.
Infatti, benché sia preferibile avere almeno un minimo di esperienza in campo ornitologico, se ci si attiene a delle semplici regole unite ad un minimo di sensibilità e di buonsenso le soddisfazioni non tarderanno ad arrivare.
Ecco di seguito alcuni consigli per chi intende iniziare ad allevare questo bellissimo carduelide:
La preparazione dei riproduttori riveste un importanza fondamentale. I soggetti vanno abituati gradatamente a nutrirsi di quegli alimenti che ci proponiamo di impiegare durante l’allevamento. Man mano che il fotoperiodo, per effetto delle luci artificiali, o dell’avvicinarsi della primavera, aumenta si dovranno incominciare a somministrare i semi germinati con cadenza settimanale, che verrà aumentata man mano fino a divenire La giornaliera. Allo stesso modo dovrà essere aumentata la quota proteica, mediante somministrazione di alimenti quali il pastone, le larve di insetti, oppure l’uovo. L’aumentata disponibilità alimentare (unitamente all’aumento delle ore di luce e della temperatura) indurrà negli uccelli il raggiungimento della forma amorosa. Tale procedimento riveste un importanza essenziale per entrambi i sessi. Anche i maschi, infatti, necessitano di una accurata preparazione in vista del periodo riproduttivo, senza la quale rischiano di non raggiungere una perfetta forma amorosa.
Le gabbie da cova non dovrebbero essere di misura inferiore ai 90 cm allo scopo di non costringere i riproduttori in uno spazio troppo esiguo che poco si presterebbe alle baruffe del corteggiamento ed all’involo dei novelli. Sarebbe buona norma posizionarle quanto più in alto sia possibile, allo scopo di far sentire le femmine più sicure a tutto vantaggio della nidificazione. Un ottimo espediente consiste nell’infrascare i nidi in modo da garantire una maggiore tranquillità alla cardellina durante la cova e l’allevamento dei nidiacei. Particolarmente indicati sono i rametti degli alberi di Natale finti, le piante ornamentali di plastica oppure della semplice rete verde sempre in plastica del tipo usato per proteggere le piante di agrumi. Sarà sufficiente attaccare il materiale alle sbarre in modo da coprire interamente la zona dove intendiamo porre il portanido, avendo cura di schermare parzialmente anche la zona superiore. Questi materiali sono pressoché indistruttibili, quindi si prestano ad essere riutilizzati, previo accurato lavaggio, per vari anni. Come materiale useremo della iuta, e dell’ovatta vegetale. I fortunati che abitano in campagna possono raccogliere della lanugine di pioppo, che in genere induce nelle femmine una vera e propria frenesia nidificatoria…
La formazione delle coppie è un momento particolarmente delicato. Le strategie sono fondamentalmente due. La prima consiste nel lasciare che la coppia sverni insieme. Questo sistema consente che tra i due si crei un buon affiatamento. Il rovescio della medaglia consiste nel fatto che spesso, la femmina in particolare non accetterà altri maschi che quello che ha imparato a conoscere, per cui se il maschio dovesse morire o decidessimo di sostituirlo con un altro si correrebbe il rischio di scondizionare irrimediabilmente la compagna.L’alternativa è mantenere i sessi separati fino a che non incomincino a dare chiari segni di essere pronti per l’accoppiamento, i maschi con il canto forte e ripetuto, le femmine effettuando la cosiddetta ruota e svolazzando per la gabbia. A questo punto potremo tentare di formare le coppie facendo uso per qualche giorno di un divisorio, in modo da impedire che i due litighino troppo. Accertato il reciproco gradimento, potranno essere uniti. Con questo sistema avremo il vantaggio di poter decidere gli accoppiamenti con più tranquillità ed apportare le eventuali (quanto immancabili) variazioni dell’ultimo minuto senza incontrare grandi difficoltà.
La deposizione e la cova delle uova in genere non presentano grandi difficoltà anche se talvolta, specie le femmine giovani possono dare qualche problema, tipo deposizione fuori dal nido o rifiuto di covare. Nel primo caso conviene abbassare i posatoi il più possibile e tentare di recuperare le uova grazie ad uno strato di gommapiuma o uno straccio disposto sul fondo da cui avremo rimosso le griglie. In questo modo il danno che le uova deposte dal posatoi subiranno sarà ridotto al minimo e potranno essere affidate ad una balia. Se invece la cardellina, che normalmente inizia a covare dal terzo uovo in poi, non dovesse mostrare alcuna intenzione in tal senso, conviene lasciare comunque delle uova di plastica per qualche giorno nel nido e dare a balia quelle vere. Non di rado qualche femmina inizia a covare dopo qualche giorno dalla fine della deposizione a causa di un ritardo nella formazione delle placche di incubazione.Se invece tutto procede per il meglio, la cardellina inizierà a covare assiduamente uscendo dal nido solo per nutrirsi. Per tutta la durata della cova l’alimentazione dovrà essere leggera ed abbastanza spartana. In pratica composta dai soli semi, in modo da non sovraccaricare l’apparato digerente. Le verdure vanno abolite così come i cibi proteici.Il maschio, una volta operata la sostituzione delle uova, andrebbe separato e posto in una gabbietta attigua dove la compagna possa vederlo, in modo che non decida di abbandonare la cova. Trascorsi 5 o 6 giorni potremo allontanarlo per impiegarlo con altre femmine oppure lasciarlo dove si trova per valutare di ricongiungerlo quando i pullus avranno 7-8 giorni.Alcuni maschi si comportano in modo irreprensibile, imbeccando la femmina in cova ed i pulcini fino allo svezzamento. Tuttavia l’ambiente ristretto della gabbia spesso induce nel maschio comportamenti anomali, che variano dalle continue molestie alla femmina fino alla rottura delle uova e persino l’uccisione dei piccoli appena nati. Per questo motivo in genere uso separarli appena terminata la deposizione, per rimetterli quando i piccoli hanno una settimana circa. Se dopo attenta osservazione non riscontro comportamenti aggressivi valuto di lasciarli nella gabbia da riproduzione.La presenza del maschio, quando decide di collaborare, consente una seconda nidificazione in un arco di tempo notevolmente più breve. Infatti con il maschio che provvede allo svezzamento dei novelli, la femmina può dedicarsi senz’altro ad una seconda covata. Attenzione però a separare il padre insieme ai giovani che altrimenti potrebbero imbrattare di feci il nuovo nido e le uova.Nel caso in cui la cura dei giovani sia affidata alla sola femmina bisognerà rimuovere il vecchio nido e non fornire materiale per il nuovo in modo da non stimolarla ad una seconda cova. Dopo circa 25-30 giorni dalla nascita i piccoli inizieranno a mangiare da soli e potremo consentirle di dare l’avvio ad una seconda cova.
I nidiacei di cardellino nascono dopo tredici giorni di incubazione. Durante i primissimi giorni di vita è bene disturbare la madre il meno possibile, salvo una visita giornaliera per valutare lo stato di salute dei piccoli. Se all’ispezione il giorno seguente la nascita si presenteranno floridi e vitali vorrà dire che tutto procede per il meglio. Se al contrario appariranno disidratati e deboli occorrerà valutarne lo spostamento sotto una balia.In concomitanza con la schiusa forniremo alla madre tutti quegli alimenti ad alto valore nutritivo che avevamo smesso di somministrare durante la cova, onde stimolarla a nutrirsi ed imbeccare la prole. Normalmente, dopo giorni di “privazioni” la femmina si mostrerà famelica e non tarderà ad alimentare i piccoli. Personalmente già dal secondo-terzo giorno di vita sono solito fornire piccole quantità di foglie di cicoria (non più di mezza foglia ), che verrà aumentata nei giorni successivi ad una foglia al giorno.In genere le cardelline, se in perfetta salute, si rivelano delle ottime madri allevando senza problemi fino a cinque piccoli per covata.
TERZA PARTE
L’inanellamento dei nidiacei è una pratica che richiede un minimo di attenzione da parte dell’allevatore. Alcune femmine, infatti, non sopportano la presenza nel nido di qualsivoglia oggetto estraneo e fanno qualunque cosa per liberarsene. Paradossalmente sono proprio le migliori nutrici quelle che danno di questi problemi, arrivando a scaraventare fuori dal nido i piccoli per liberarsi di quell’odioso cerchietto metallico che tanta importanza riveste invece per noi. In genere è sufficiente l’applicazione di una piccola striscia di cerotto a scongiurare questa reazione di rigetto.
Da quest’anno, inoltre, è disponibile anche l’anello di tipo “Y” sul modello belga. Questo tipo di anello, usato per la sottospecie Mayor, consente di ritardare di qualche giorno l’apposizione degli anellini il che renderebbe più arduo (si spera) alla madre gettare i piccoli fuori dal nido.
Da quest’anno, inoltre, è disponibile anche l’anello di tipo “Y” sul modello belga. Questo tipo di anello, usato per la sottospecie Mayor, consente di ritardare di qualche giorno l’apposizione degli anellini il che renderebbe più arduo (si spera) alla madre gettare i piccoli fuori dal nido.
Lo svezzamento avviene di norma intorno al venticinquesimo giorno d’età. All’incirca a quest’epoca giovani iniziano ad alimentarsi di semi germina ti che andranno gradatamente ridotti in modo da abituarli ai semi asciutti. Utilissime sono le spighe di panico, che oltre ad accelerare i tempi dello svezzamento, procurano ai giovani un utile diversivo, contribuendo a ridurre il fenomeno della pica, che spesso si manifesta tra i novelli.Per sicurezza è bene lasciare i novelli nella stessa gabbia dei genitori fino a quando non daranno chiari segni di essere divenuti indipendenti. Nel caso la femmina fosse intenta ad una seconda nidificazione sarà opportuno avvalersi del divisorio o collocare i giovani in una gabbietta agganciata alla gabbia da cova, in modo che possano fruire di qualche imbeccata supplementare.Nel caso di piccoli particolarmente restii a svezzarsi può tornare utile l’espediente di porli in una piccola gabbia e mettere loro a disposizione dei semi preventivamente schiacciati con una bottiglia di vetro. Lo svezzamento, è un momento particolarmente delicato. I giovani spesso stentano ad alimentarsi in modo corretto, i genitori iniziano mostrare chiari segni di insofferenza, iniziano i litigi e le competizioni con i fratelli. Tutto questo può indurre uno stato di stress, che nel cardellino comporta quasi sempre un aumento dei coccidi. Tenuto presente che la coccidiosi è il nemico numero uno dei cardellini in generale, ma soprattutto dei giovani, in questo periodo giova un blando trattamento a base di coccidiostatici ( ESB3, Baycox, Disulfa AS). Superata questa fase i giovani potranno venire alloggiati in dei gabbioni, dove potranno esercitare il volo e prepararsi alla muta delle penne. E’ consigliabile evitare i sovraffollamenti ( max 5 soggetti in una gabbia da 90 cm) e lasciare insieme sempre gli stessi soggetti, avendo cura di isolare quei soggetti che dovessero rivelarsi eccessivamente aggressivi.
CONCLUSIONI
Il cardellino è un uccello assolutamente particolare. I suoi colori bellissimi ed il suo canto sono solo alcune delle peculiarità che lo rendono così intrigante. Possiede infatti quella che potremmo definire una vera e propria “personalità individuale”, che rende ogni soggetto assolutamente differente dagli altri. Il suo meraviglioso disegno rappresenta una vera e propria sfida per coloro i quali intendono impegnarsi nella selezione mirata ad ottenere soggetti sempre più tipici e ben colorati. Le sue mutazioni sono assolutamente spettacolari. Tutto questo lo rende un animale che chiunque abbia una passione per l’ornitologia dovrebbe cimentarsi ad allevare.Solo una ventina d’anni fa, quando ero un ragazzo, bastava fare pochi chilometri fuori città per imbattersi in questi uccelli. Addirittura nei periodi delle migrazioni, non era difficile vederli persino transitare nei giardini e nei parchi cittadini. Oggi avvistare i cardellini in natura è sempre più raro. Perseguitati dai bracconieri, vittime di pesticidi e diserbanti, il loro numero sta calando considerevolmente. Sotto questo aspetto l’allevamento diffuso di questa specie in cattività potrebbe, alla lunga, rivelarsi utile riducendo il prelievo in natura. Addirittura, come già avvenuto per il cardinalino del Venezuela, potrebbe consentire un domani il ripopolamento di questa specie in quelle zone da cui è sparito. Anche per questi bellissimi uccelli, dunque, il motto “allevare per proteggere” si dimostra quanto mai appropriato..
CONCLUSIONI
Il cardellino è un uccello assolutamente particolare. I suoi colori bellissimi ed il suo canto sono solo alcune delle peculiarità che lo rendono così intrigante. Possiede infatti quella che potremmo definire una vera e propria “personalità individuale”, che rende ogni soggetto assolutamente differente dagli altri. Il suo meraviglioso disegno rappresenta una vera e propria sfida per coloro i quali intendono impegnarsi nella selezione mirata ad ottenere soggetti sempre più tipici e ben colorati. Le sue mutazioni sono assolutamente spettacolari. Tutto questo lo rende un animale che chiunque abbia una passione per l’ornitologia dovrebbe cimentarsi ad allevare.Solo una ventina d’anni fa, quando ero un ragazzo, bastava fare pochi chilometri fuori città per imbattersi in questi uccelli. Addirittura nei periodi delle migrazioni, non era difficile vederli persino transitare nei giardini e nei parchi cittadini. Oggi avvistare i cardellini in natura è sempre più raro. Perseguitati dai bracconieri, vittime di pesticidi e diserbanti, il loro numero sta calando considerevolmente. Sotto questo aspetto l’allevamento diffuso di questa specie in cattività potrebbe, alla lunga, rivelarsi utile riducendo il prelievo in natura. Addirittura, come già avvenuto per il cardinalino del Venezuela, potrebbe consentire un domani il ripopolamento di questa specie in quelle zone da cui è sparito. Anche per questi bellissimi uccelli, dunque, il motto “allevare per proteggere” si dimostra quanto mai appropriato..
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